Sudan and conflicts zones.

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Tuesday 2 March 2010

Darfur !!! Oh Darfur!!!



Due o tre motivi per cui il presidente Bashir ha firmato la pace in DarfurAnna Bono1 Marzo 2010La fine della guerra nel Darfur è stata ufficialmente annunciata dal presidente del Sudan Omar Hassan el Bashir in seguito all’accordo siglato il 23 febbraio a Doha, Qatar, con il Jem, Justice and Equality Movement. Il Jem è uno dei due principali movimenti antigovernativi della regione, in armi dal 2003 in difesa delle etnie di origine africana – Fur, Zaghawa e Masalit – marginalizzate e impoverite dal processo di arabizzazione avviato dalla leadership araba al potere.Nel 2006 aveva accettato un analogo accordo una delle due fazioni in cui si era diviso l’altro movimento antigovernativo maggiore, lo Sla, Sudan Liberation Army: quello guidato dal leader di etnia Zaghawa, Minni Minawi. Il resto dello Sla, composto in prevalenza da militanti di etnia Fur, aveva allora rifiutato di negoziare con il governo e tuttora il suo leader, Abdel Wahid al Nur, respinge ogni trattativa. Restano inoltre da risolvere i rapporti con altri gruppi minori e gli stessi janjaweed, i miliziani arabi finora armati e sostenuti da Khartoum, non è detto che siano tutti pronti a deporre le armi: come nel resto del continente africano, anche in Sudan vivere di razzie e abusi spesso diventa una scelta per uomini, magari reclutati da bambini, che non vedono prospettive migliori per sopravvivere.Non a caso, l’intesa raggiunta a Doha prevede per il Jem, come quella precedente con lo Sla di Minni Minawi, l’integrazione dei combattenti nell’esercito regolare mentre ai loro leader si prospettano cariche politiche e amministrative a tutti i livelli dell’apparato statale: dopo la sua resa, per Minawi è stato creato un posto di consigliere presidenziale che ne ha fatto la quarta carica dello stato.Jem e Khartoum si sono impegnati a firmare un trattato di pace definitivo entro il 15 marzo e, a dimostrazione della propria volontà di porre fine al conflitto, il governo sudanese ha subito ordinato la scarcerazione di una cinquantina di detenuti del Jem, la maggior parte dei quali già condannati a morte per aver partecipato nel 2008 all’assalto di Omdurman, la città gemella della capitale che sorge sull’altra riva del Nilo.Che el Bashir intenda davvero porre fine al conflitto, implicitamente ammettendo di esserne responsabile dopo averlo negato in tutti questi anni, malgrado le denunce della comunità internazionale sfociate nel 2008 in una incriminazione da parte della Corte penale internazionale per crimini di guerra e contro l’umanità, trova conferma nella svolta verificatasi nei rapporti con il presidente del vicino Ciad, Idriss Deby, di etnia Zaghawa, più volte accusato da el Bashir di sostenere i ribelli del Darfur della propria etnia: accusa restituita da Deby secondo il quale Khartoum appoggia la rivolta armata dei dissidenti ciadiani. I due leader, dopo aver rotto più volte i rapporti diplomatici, si sono incontrati l’8 febbraio a Khartoum a conclusione di un processo di riavvicinamento che entrambi hanno definito una svolta storica, l’inizio di una nuova fase di armonia duratura e ricca di vantaggi per le popolazioni dei rispettivi paesi.Nessuno scommetterebbe sul rinsavimento dei due leader finora palesemente assai poco preoccupati dei loro connazionali. Ma entrambi in questo momento hanno bisogno di stabilità e consenso per affrontare con successo gli appuntamenti elettorali imminenti. Ne ha bisogno Deby poiché il Ciad andrà alle elezioni legislative il prossimo novembre. Ma ne ha ancora più bisogno el Bashir, alla vigilia delle elezioni generali di aprile, previste dal trattato di pace con cui nel 2005 si è conclusa la lunga e drammatica guerra di resistenza delle popolazioni africane del sud, di religione cristiana, all’arabizzazione del paese.L’esito di queste elezioni è tanto più importante in quanto influirà su quello del successivo referendum con cui nel gennaio del 2011 gli abitanti del Sud, già reso semi autonomo nel 2005, decideranno se continuare a far parte del Sudan o costituire un’entità politica autonoma. La posta in gioco è enorme dal momento che la maggior parte dei giacimenti di petrolio, che costituiscono la principale ricchezza nazionale, si trovano al sud: el Bashir cinque anni fa non ha potuto evitare di acconsentire all’eventualità di una secessione, ma ora che si avvicina la scadenza del referendum è improbabile che sia disposto ad accettarla senza nulla tentare.Per questo i prossimi mesi saranno decisivi per le sorti del Sudan e, di riflesso, dell’intera regione dove preoccupano altri fattori di instabilità a incominciare dalla sempre critica situazione della Somalia e dove un altro importante paese, l’Etiopia, si appresta ad andare alle urne. Ben due missioni delle Nazioni Unite sono già operative in Sudan: la Unamid nel Darfur, in collaborazione con l’Unione Africana, istituita nel 2007, e la Unmis, creata nel 2005 per garantire il rispetto dei termini dell’accordo di pace tra Khartoum e Sud Sudan.

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