Sudan and conflicts zones.

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Wednesday 8 July 2009

Justice Giustizia!!??

CALLS: Weekly News - 04/2009
International Law - Il caso al-Bashir: un passo indietro per la giurisdizione africana. “African solutions to African problems” è lo slogan che dal genocidio ruandese del 1994, con sempre maggiore enfasi, viene richiamato da politici, Paesi ed istituzioni africane a favore di una risoluzione interna dei problemi politici, economici e sociali del continente. Coerentemente a questo “nuovo spirito” anche il sistema e la prassi giuridica si sono gradualmente conformate con la previsione di testi normativi e organi giurisdizionali potenzialmente idonei ad escludere l’interferenza della comunità e degli organismi internazionali.
Gruppo d'analisi del CALLS
Equilibri.net (07 luglio 2009)

International law
Il caso al-Bashir: un passo indietro per la giurisdizione africana
“African solutions to African problems” è lo slogan che dal genocidio ruandese del 1994, con sempre maggiore enfasi, viene richiamato da politici, Paesi ed istituzioni africane a favore di una risoluzione interna dei problemi politici, economici e sociali del continente. Coerentemente a questo “nuovo spirito” anche il sistema e la prassi giuridica si sono gradualmente conformate con la previsione di testi normativi e organi giurisdizionali potenzialmente idonei ad escludere l’interferenza della comunità e degli organismi internazionali. E' questa una delle chiavi di lettura e il contesto in cui va ascritta la Carta che istituì l’Organizzazione dell’unità africana (OUA), oggi Unione Africana (UA), e la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, adottata a Nairobi nel 1981 e affiancata oggi dalla Corte africana dei diritti, in vigore dal 2004. La Corte è entrata nel pieno delle sue funzioni in seguito al settimo summit dell'UA del luglio 2006 a Banjul. Del 2002 è invece la Carta dell'Unione Africana, in dottrina considerata il primo passo verso una costituzione africana, oltre che verso un rafforzamento della legalità, dello stato di diritto e della good governance.Il recente caso Sudan manifesta tuttavia con forza la distanza e le incomprensioni esistenti tra la nascente (in termini di effettività) normativa africana e la più consolidata normativa internazionale, essendo indiscutibile la necessità che la tanto ricercata autonomia della giurisdizione africana non si traduca in ottusa chiusura. Non si può quindi che disapprovare la posizione adottata dall’ultimo vertice UA di Sirte in merito alla chiusura di eventuali collaborazioni con la Corte penale internazionale. Dopo le opposizioni suscitate dalle indagini della CPI, nonostante la gravità dell'emergenza umanitaria in Darfur fosse evidente, i ministri degli esteri UA hanno infatti approvato una dichiarazione comune nella quale viene manifestato il rifiuto di cooperare con la CPI “nell'arresto e nel trasferimento” del Presidente del Sudan Omar Hassan al-Bashir. La Libia di Gheddafi in particolare, presidente di turno dell'UA e fiero sostenitore del cammino verso gli “Stati Uniti d'Africa”, non ha tenuto conto dell'incriminazione formulata dalla CPI accogliendo al-Bashir nonostante la pendenza del mandato di arresto internazionale.Dal 4 marzo al-Bashir è il primo capo di Stato ricercato per crimini contro l'umanità e crimini di guerra, in un momento storico di particolare importanza per il Paese, giunto nel 2005 alla firma di un trattato di pace dopo una ventennale guerra civile tra Nord e Sud e in vista del referendum nel 2011, dove la popolazione del Sud sarà chiamata ad optare per la secessione o per la permanenza in un Sudan unito. L'incriminazione del Presidente sudanese da parte della CPI è il culmine del processo iniziato nel 2004 con la costituzione della United Nations Commission of Inquiry (UNCOI), creata in base alla Risoluzione 1564 (2004) e presieduta dal giurista italiano Antonio Cassese. Anche se, finiti i lavori nel 2005, si escluse la possibilità di classificare i fatti verificatisi come genocidio, data l'assenza di quella mens rea richiesta dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti come necessaria compagna dell'actus reo, la Commissione identificò cinquantuno individui responsabili di crimini di guerra e crimini contro l'umanità. La Risoluzione 1591 (2005) prevedeva l'istituzione di un Comitato col compito di identificare i singoli individui che violassero gli obblighi di disarmo dei Janjaweed e l'embargo di armi, o che impedissero il processo di pace, rappresentassero una minaccia per la stabilità del Darfur o commettessero violazioni dei diritti umani. Con la Risoluzione 1593 (2005) il Consiglio di Sicurezza riferiva la situazione del Darfur alla Corte penale internazionale. Nel 2007 furono emanati i primi mandati di cattura. Con la Risoluzione 1828 (2008) il Consiglio di Sicurezza ha sottolineato la necessità di perseguire penalmente i responsabili di crimini internazionali e ha invitato il governo del Sudan a rispettare i propri obblighi in materia. Teatro di questi reati è sempre il Darfur, la regione occidentale del Sudan dove è in corso dal 2003 una violenta guerra civile che vede contrapposto il governo di Khartoum dai movimenti armati che chiedono una migliore ripartizione delle risorse e una maggiore autonomia di questi territori. Secondo l'UA, “tenuto conto del delicato processo di pace in corso in Sudan” l'accoglimento della richiesta del procuratore comprometterebbe “gli sforzi che si stanno facendo in direzione della pace” e dell'attuazione del fragile Comprehensive Peace Agreement del 9 gennaio 2005. La questione ha importanti conseguenze anche economiche, contribuendo ad aumentare non solo l'instabilità ma anche la già elevata sfiducia degli investitori internazionali di fronte a Stati incapaci di mantenere le promesse di sviluppo.Si deve ricordare che trenta Paesi hanno ratificato lo Statuto della Corte penale internazionale, adottato dalla Conferenza Diplomatica dei Plenipotenziari delle Nazioni Unite il 17 luglio 1998 a Roma, il cui art. 1 riconosce il potere della CPI, istituzione permanente, di esercitare la sua giurisdizione su persone in relazione a gravi crimini di rilevanza internazionale (disciplinati dagli artt. 5 e ss.). Il documento approvato rappresenta quindi una violazione degli obblighi derivanti dalla ratifica dello Statuto di Roma. Fondamentale ai fini di questa analisi è quindi l'art. 86 dello Statuto, che prevede un “obbligo generale di cooperazione” per gli Stati “nelle inchieste ed azioni giudiziarie” che la CPI “svolge per reati di sua competenza”. Controversa è da sempre la posizione del Sudan, che nel 2000 aveva firmato lo Statuto di Roma, anche se non lo ha mai ratificato, mentre in seguito ha formalmente ritirato la sua adesione alla Corte dell'Aja. E' tuttavia previsto che la Corte sia abilitata a rivolgere richieste di cooperazione anche a Stati non parti. Tuttavia, di fronte alle incriminazioni della CPI, l'UA si è sempre opposta, in particolare pronunciandosi, ancor prima di marzo, contro un eventuale mandato d'arresto a carico di al-Bashir. In questa querelle tra le Nazioni Unite – CPI e l'UA sono quindi emerse le numerose debolezze e contraddizioni del sistema, il cui sviluppo è di fatto ostacolato dai suoi stessi membri, in violazione degli obblighi assunti. Si dovrebbe ricordare l'antico proverbio Wolof, “nit moodi garab u nit”: solo l'uomo è il rimedio all'uomo.Massimo CorsiniPer ulteriori approfondimenti vedi: Center for African Law and Legislation Studies (CALLS)
I capi Africani hanno diciso cosi e Gedaffi e il capo supremo per un anno almeno.................
The leaders of Africa decided that they will do justic by thier own so will that be? Gedaffi is the leader at least for on year...............................................Abdelazim

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