Sudan and conflicts zones.

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Tuesday, 1 July 2008

Scarsità d'aquae legname


RIFUGIATI-CIAD: Si aggrava la scarsità d’acqua e di legnameDavid Axe

IRIBA, 30 giugno 2008 (IPS) - Tutte le mattine al sorgere del sole, Fatne Adbaraman attraversa per un breve tratto il campo profughi di Iridimi nel Ciad orientale con in mano una tanica da venti litri. La depone accanto ai contenitori delle altre donne presso il punto di distribuzione dell’acqua, poi aspetta il suo turno per assicurarsi la propria razione quotidiana di una delle risorse più scarse in Africa centrale, e fattore scatenante dei conflitti in corso nella regione.
La mancanza di un equo accesso all’acqua e alla legna è all’origine delle rivolte che stanno sconvolgendo oggi il Ciad, l’Africa centrale e la regione del Darfur, Sudan, spiega Alain Lapierre, tra i responsabili dell’organizzazione umanitaria CARE International. E queste sono infatti le due principali preoccupazioni di Abdaraman, oltre che degli altri 18mila rifugiati del Darfur del Nord a Iridima, e dei residenti originari della vicina città di Iriba. Queste due risorse vitali scarseggiavano già prima che il conflitto in Darfur portasse un ulteriore flusso di 250mila rifugiati nel Ciad orientale. E adesso si consumano molto più velocemente di quanto madre natura ci metta a riprodurli, e anche le nuove condizioni climatiche fanno la loro parte. Nonostante gli sforzi disperati dei gruppi umanitari, secondo le autorità locali la legna sarà esaurita entro il prossimo anno. E l’acqua potrebbe presto seguire la stessa sorte. Ma oggi c’è ancora acqua a sufficienza nel moderno sistema di distribuzione di Iridimi per riempire il contenitore di Abdaraman. E quando non c’è? “Vado fino all’altro pozzo”, spiega la donna mentre riempie la sua tanica da un rubinetto di acciaio inossidabile, e dei bambini fanno ressa intorno a lei.Ma l’altro pozzo è a mezzo miglio di distanza, e bisogna uscire dal campo. La cavalcata di mezz’ora a dorso di un mulo non solo è calda e fastidiosa, ma può essere anche pericolosa, visto l’intensificarsi del brigantaggio e dell’attività dei ribelli sudanesi nel Ciad orientale, quest’ultima soprattutto ad opera del gruppo “National Alliance” del Sudan, che tenta di rovesciare il presidente del Ciad, Idriss Deby. È un pozzo sempre aperto; profondo 15 metri, collegato direttamente con un bacino idrico sotterraneo. L'acqua è dolce, pulita e ricca di minerali. Il problema è che è stato scavato anni fa dai residenti di Iriba, e loro non vogliono che i rifugiati ne facciano uso. Subito dopo l’apertura del campo profughi a Iridimi nel 2004, intorno al pozzo sono cominciate le dispute tra le donne di Iriba e quelle del campo. Le due parti hanno formato un comitato locale di mediazione, ma oggi il pozzo è un luogo turbolento, dove le donne sgomitano per attingere l’acqua, anche se raramente scoppiano dei veri e propri scontri. Ma di fatto, il problema dell’acqua a Iridimi è appena cominciato - e sta avendo effetti devastanti anche sulla scarsità di legname. Adrian Djimdim, responsabile di CARE che lavora a Iridimi, dice che le sue squadre devono scavare sempre più in profondità per raggiungere la falda acquifera da cui poter ricavare nuovi pozzi. “E quando finalmente l’acqua si trova, potrebbe non essercene tanta quanta si pensava”, spiega Adboulay Dramon, un ingegnere di CARE. I due uomini stanno tentando di tutto per sfruttare al meglio le riserve d’acqua del campo. Dove le pompe elettriche moderne sono inadeguate, installano delle pompe manuali; e studiano nuovi sistemi per riuscire a catturare il più possibile dalle intense, ma brevi, piogge estive del Ciad. Di solito, l’acqua piovana scorre troppo velocemente verso i letti dei fiumi in secca - chiamati “wadis” - perché il terreno riesca a trattenerla rendendola disponibile per i pozzi. Così, Djimdim e Dramon hanno cominciato a costruire delle dighe lungo i wadis dentro e intorno al campo. “L’idea è di… rallentarla, così che possa essere assorbita dal terreno”, spiega Dramon. Hanno cominciato con un piccolo sistema di chiuse in uno dei wadi che va a finire in un giardino interno al campo. Quest’anno il loro grande progetto è una diga in cemento armato in un wadi più grande lì nei pressi. Ma anche questa diga rischia di rivelarsi un fallimento, visto che la stagione delle piogge in Ciad, che generalmente dura quattro mesi, è sempre più breve, un fenomeno che Lapierre attribuisce al cambiamento climatico globale. Anche se le piogge sembrano essersi normalizzate e le dighe funzionano come previsto, potrebbe essere già troppo tardi per salvare le riserve di legname sempre più scarse di Iridimi. L’Onu raccomanda ai rifugiati di prendere solo un chilo di legna al giorno, ci dice Caroline St. Mleux di CARE, ma ad Iridimi c’è solo un terzo di questa quantità per persona. E il problema si sta aggravando. Secondo il presidente di Iridimi Abu Abbaker Atom, la legna si esaurirà entro il prossimo anno.In un certo senso, il legname si è già esaurito. Nessuno raccoglie più legna secca a Iridimi - è semplicemente finita. Per poterla fornire ai rifugiati, l’organizzazione non profit locale Adesk percorre tutte le campagne. Ogni mattino alle 3, i raccoglitori di Adesk escono con dei camion pesanti per il trasporto del legname. Fanno ritorno a Iridimi 6 ore dopo con più di 3 tonnellate di rami secchi e curvi, elemosinati o rubati nel cortile di qualcun altro. Le donne del campo si arrampicano sul camion e tirano giù la legna per accatastarla, pesarla e distribuirla. Mentre pesa la sua catasta, Amdalal Usman Abakar spiega che non c’è mai legname a sufficienza per lei e i suoi sei figli (il marito è rimasto in Sudan). Ciascuna delle dieci aree del campo riceve solo una consegna al mese - e Adesk ha sempre più difficoltà nelle consegne. Prima, il gruppo trovava la legna subito fuori dal campo. Adesso i raccoglitori devono allontanarsi fino a 60 chilometri, talvolta anche oltre il confine col Sudan. Per ogni chilometro che devono percorrere, il loro lavoro diventa più costoso, più rischioso e con minori probabilità di successo. Piantare più alberi è l’unica soluzione sul lungo periodo di fronte alla scarsità di legname - e CARE ha un piccolo asilo a Iridimi, dove due turni di una ventina di lavoratori - tutti rifugiati - coltivano migliaia di nuove piantine. Ma molti di questi alberi giovani muoiono per mancanza d’acqua. Djimdim spiega che anche quando sopravvivono, ci mettono anni prima di cominciare a produrre legna. Nel frattempo, Iridimi ripone le proprie speranze su un’improbabile combinazione di alta tecnologia e vecchie tecniche: CARE sta distribuendo le stufe “Save 80” (“Risparmia 80”) del valore di 100 dollari a tutte le famiglie di almeno tre componenti. Queste stufe sofisticate, prodotte con un metallo che cattura il calore, utilizzano solo il 20 per cento della legna necessaria per un falò; da qui il loro nome. Ma a causa del loro costo, le stufe Save 80 fanno fatica ad inserirsi, sostiene St. Mleux. Così, molte famiglie di Iridimi hanno riscoperto i metodi tradizionali di racchiudere il fuoco in un guscio di terracotta, in sostanza ricalcando la tecnologia “cattura-calore” delle stufe Save 80. (FINE/2008)

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