Sudan and conflicts zones.
Wednesday, 9 July 2008
Africa da leggere sotto l'ombrellone
07/07/2008
Mucca nera chiazzata
a cura di Elio Boscaini
La nostra mamma comune era africana. Così dice il nostro Dna. Normale, dunque, che un’africana faccia la modella. Ecco l’autobiografia di Alek Wek che, secondo People, è tra le 50 persone più belle al mondo. Da Nigrizia di giugno
Settima di nove figli, Alek (significa “mucca nera chiazzata”) nasce e cresce in una tipica famiglia dinka, nella cittadina di Wau, nel sud-ovest del Sudan. Il nome della mamma è Akuol, cioè “zucca”. Nome appropriato, perché, come lei, questi ortaggi sono molto utili e importanti per la vita nei villaggi: oltre che come cibo, sono usati come zuppiere e contenitori per l’acqua. «Mia madre era come una zucca: molto servizievole».
Dal padre, Alek eredita il corpo slanciato, oltre un metro e ottanta. Grazie ai genitori, sfugge alle cicatrici sul volto, usanza tradizionale del suo popolo. Il papà, impiegato nelle scuole, «elegante, alto circa due metri, slanciato e di bell’aspetto», contrariamente alla tradizione, ha scelto di non essere poligamo. «È normale in Sudan che un uomo abbia più mogli». Tratta la moglie con rispetto e non è mai violento con lei. La consulta sempre prima di ogni decisione importante. I soldi, invece, è lei a gestirli: sequestra il salario appena arrivato e paga l’affitto e il mangiare.
I dinka, popolo pastore dall’indole forte e orgogliosa, hanno un rapporto speciale con le loro mucche. Il bestiame ha sempre giocato un ruolo centrale nella cultura ed è parte dell’identità etnica, perché rappresenta ricchezza e dignità. «A volte, i ragazzi del villaggio che conducono le mucche al pascolo infilano la testa sotto l’animale mentre sta urinando, e lasciano che il liquido scorra sui capelli e sul corpo. Lo fanno perché l’urina di mucca uccide i pidocchi e tiene lontane le zanzare. È solo un modo diverso di vedere il mondo e, a pensarci bene, quei ragazzi sono furbi a prevenire in questo modo le infestazioni, perché farmaci e insetticidi sono difficili da reperire in campagna».
La famiglia di Alek vive con le mucche in casa. Bisogna, quindi, raccogliere il letame – puntualmente con le mani – e gettarlo da parte. «Mentre eravamo a scuola, lasciavamo il letame a seccare e poi alla sera lo bruciavamo, perché il fumo tenesse lontane mosche e zanzare. Infine strofinavamo la cenere sulla pelle delle mucche, per tenere a bada le zecche. A volte usavamo la cenere – purificata dal fuoco – come dentifricio. Non avevamo spazzolini di plastica a quel tempo: masticavamo bastoncini di legno finché diventavano morbidi e poi li strofinavamo sui denti e sulle gengive. I bastoncini funzionavano bene da soli, ma ancora meglio con il letame in polvere. Tempo dopo, a ventisei anni, sono andata dal dentista per la prima volta. Mi ha detto che avevo denti incredibilmente sani, per cui mi sento di consigliare caldamente l’uso dei bastoncini e del letame in polvere per una corretta igiene orale! Ammetto però che quando ho lasciato l’Africa ho iniziato a usare spazzolino e dentifricio, non avendo più mucche a disposizione».
Un’infanzia normale, quella di Alek. Ma tutto cambia con l’arrivo dei soldati a Wau. La bimba ha otto anni quando la guerra del sud contro il governo centrale riprende con la sua sequela di sofferenze e lutti. Alek ha l’impressione di vivere in una base militare: «Iniziai a pensare che il governo doveva aver fatto qualcosa di sbagliato, se ora aveva bisogno di tutte queste forze per sostenersi». Inciampa nei cadaveri. «Questa era la guerra per me: cadaveri abbandonati a decomporsi».
I genitori decidono di lasciare Wau. Commovente l’addio della mamma alle mucche: «Parlò dolcemente a ciascuna mucca, chiamandola per nome, dando una carezza a una e una grattatina all’altra, assicurando loro che tutto sarebbe andato per il meglio. Giuro che le mucche ricambiarono le sue attenzioni con sguardi intensi».
La famiglia Wek marcia nella foresta per due settimane. Arriva al villaggio dei parenti di papà. I tempi son duri: si sopravvive. E Alek fa l’esperienza della differenza, anche antropologica, tra i figli di città e quelli di villaggio. Sei mesi dopo ritornano a Wau, ma papà parte per Khartoum per curarsi una gamba malconcia. Alek lo raggiunge. Non lo trova guarito, anzi. La figlia maggiore vorrebbe farlo venire da lei a Londra, ma come fare? Il papà muore.
Alek si trattiene un poco nella capitale: «Capivo che i musulmani arabi di Khartoum mi disprezzavano perché ero una ragazzina dinka e parlavo arabo, non essendo la mia lingua madre, con un forte accento». Si vive in venti in tre stanze e una sola latrina. L’amichetta Shara le rivela le mutilazioni genitali cui sono sottomesse le bambine musulmane con la circoncisione. Alek è inorridita.
A 14 anni, con la sorella Atheng, parte per Londra. «Al controllo immigrazione tutti avevano la pelle bianca: non immaginavo potessero esserci tanti bianchi su questo pianeta». Incontra la sorella emozionantissima: non la vedeva dall’infanzia. Stupore anche al mercato: c’è così tanta scelta! A Londra le sparisce la psoriasi che l’ha tormentata per anni.
Mentre un giorno passeggia con l’amica Natalie, una donna bassa e bionda le si avvicina e le dice: «Hai mai pensato di fare la modella?». «All’improvviso il Sudan, con i suoi haboob e i bambini soldato, sembrò molto, molto lontano… Era una favola: una ragazza di diciannove anni proveniente da un villaggio sudanese, afflitta da psoriasi quand’era bambina, adesso viveva nel cuore di Londra con gente interessata al suo look e fotografi che volevano ritrarla». Magia: una top model dalle «gambe lunghissime, la pelle molto scura, un volto tondo dai lineamenti tipicamente africani e i capelli corti e rossastri… La cosa strana della mia professione è che si può diventare molto famose in brevissimo tempo».
Inizia la spola tra Londra e New York. Ma che passione! «Ti trovano grassa, mi disse Mora. Vogliono che tu dimagrisca. Cosa? Per tutta la vita mi ero sentita dire che ero troppo magra. Nel corso degli anni ero quasi morta di fame, letteralmente, e ora venivano a dirmi che ero troppo grassa? Non potevo crederci. Questa è la maledizione delle modelle… Per quanto tu sia magra, qualcuno pensa sempre che potresti esserlo di più». Incontra anche Gianni Versace. «Il problema della mia professione è che tutti pensano che basti essere affascinanti e i soldi rotoleranno verso di te; ma la verità è che bisogna lavorare sodo e prendere la cosa sul serio, come qualsiasi altra carriera». Papà le diceva: «La vita non è un gioco, anche se può essere divertente».
Sta per cambiare il volto della cosmesi e della moda in America. Alek scopre d’essere «una sporca nera». «Il colore della pelle è una questione davvero complicata. In America molti afro-americani di pelle più scura idolatrano oppure criticano gli afro-americani più chiari. Non capisco quest’ossessione per i pigmenti. La scienza dice che il colore della pelle dipende quasi esclusivamente dalla geografia: chi vive nelle aree soleggiate, come lungo l’Equatore, nel corso delle generazioni sviluppa una pelle più scura per proteggersi dal sole; mentre chi vive nelle zone settentrionali ha la pelle più chiara per sfruttare al meglio i pochi raggi del sole e produrre vitamina D. La biologia è davvero molto semplice. Purtroppo la sociologia non lo è». Si rende conto che le paure della mamma erano fondate: sta posando nuda in cambio di denaro. Lavora per la pubblicità Lavazza e capisce che le pubblicità riflettono i modi in cui, a volte, le persone sono stereotipate. Immagini di colonialismo? Si stanca di essere vista solo come una “bellezza nera”, quasi scoperta nella savana, un’innocente primitiva della foresta, tirata su dal fango e addomesticata, senza distruggere la sua bellezza selvaggia. Si ribella alle operazioni commerciali «che mettevano insieme tutte le ragazze nere come se fossero una particolare razza bovina». Cosa vuol dire che ha “look africano”? Ma, finalmente, «anche i grandi stilisti sembrano capire che in Africa c’è bellezza».
Alek sfonda. Finisce sulla copertina di Elle. «Da un giorno all’altro ero diventata per tante persone un simbolo di libertà dalla tirannia della moda». Ma deve ancora «affrontare una sorta di razzismo istituzionale all’interno dell’industria della moda». Il successo le fa percepire l’ostilità.
Ma Alek non può fare solo la modella. Deve fare qualcosa per quella sua terra che ha lasciato in preda a una guerra senza fine. Così, compie un viaggio nel Sud Sudan, accompagnata dall’amica americana Mora. Il viaggio per El Tonj è una vera avventura, anche perché il territorio è controllato dai ribelli dell’Spla: «I gruppi ribelli hanno la fama di fuorilegge crudeli, ma questi uomini, nelle loro semplici uniformi, erano più educati di molti poliziotti dell’immigrazione che ho incontrato negli aeroporti in giro per il mondo». Ritrova zia Alwet: «Sentii un’emozione fortissima: ci abbracciammo e piangemmo con lunghi singhiozzi. Pensava che non mi avrebbe più rivista. Questa era la zia che tutti amavamo tanto e che aveva sofferto tanto, anche prima della guerra».
Alek è colpita dall’estrema miseria in cui vive la popolazione. E dà voce al suo popolo. Finalmente, un accordo di pace è firmato (2005) e Alek e la mamma (che l’ha raggiunta a Londra) possono far ritorno sulla tomba di papà.
Favola moderna di una ragazza del sud del mondo “scoperta” dalla talent scout Fiona Ellis? Forse. Di certo, una bellezza tra le più belle del mondo, oggi impegnata in azioni di volontariato a favore dei profughi del Darfur e di donne affette da malattie cardiache. Gratuità?
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