Sudan and conflicts zones.

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Friday, 2 October 2009

Grazie tanto!


64esima Assemblea Generale dell'Onu. La parola ai dittatori







di Anna Bono
bono@ragionpolitica.it




mercoledì 30 settembre 2009

Quando il presidente dell'Eritrea, Isaiah Afewerki, rimprovera alle Nazioni Unite di non essere capaci di prevenire le crisi, assicurare la pace, combattere la povertà e difendere i diritti umani, in sostanza le accusa di non riuscire a proteggere l'umanità da regimi come il suo. Lo stesso discorso vale per i tanti altri leader che infieriscono sui propri connazionali, imponendosi su di loro con la forza, derubandoli delle ricchezze nazionali e condannandoli a uno stato permanente di indigenza, ma che puntualmente ogni anno partecipano ai lavori dell'Assemblea Generale dell'ONU pronunciando discorsi virtuosi di pace e giustizia e reclamando più potere, come se il problema dell'inefficienza del massimo organismo internazionale dipendesse tutto dal loro peso limitato in sede decisionale.
L'ordine internazionale determinatosi dopo la fine della seconda guerra mondiale «non è riuscito a garantire la pace e la sicurezza del pianeta», ha spiegato il 28 settembre alla 64esima Assemblea Generale riunita in questi giorni al Palazzo di Vetro di New York il ministro degli Esteri eritreo, Osman Saleh. «Questo antiquato ordine mondiale è stato dirottato per servire gli interessi di pochi... Strutture economiche che hanno saccheggiato ricchezza e risorse a interi popoli e nazioni sono state consolidate, mentre metodi illegali militari e coercitivi si sono estesi». Ecco perché, secondo Saleh, «le Nazioni Unite dovevano avviare un processo di rinnovamento almeno 20 anni fa in concomitanza con la fine della guerra fredda».
Il paradosso è che, di sicuro, un contributo all'estensione dei «metodi illegali militari e coercitivi» lo ha dato proprio il dittatore eritreo Isaiah Afewerki, al potere dal 1993 (anno dell'indipendenza del paese dall'Etiopia): egli non solo non si è dedicato a mettere a frutto le risorse nazionali e a impiegare con profitto i cospicui aiuti internazionali regolarmente pervenutigli, ma nel 1998 ha aperto le ostilità con l'Etiopia per irrilevanti dispute sul tracciato della frontiera che divide i due Stati, impegnando per due anni in una guerra inutile e rovinosa i giovani già costretti a periodi di leva interminabili, che lasciano decine di migliaia di famiglie in costante difficoltà. Perciò, e non per altro, l'Eritrea occupa il 157° posto (su 177 Stati considerati) nell'ultimo Indice dello sviluppo umano, la classifica compilata ogni anno dall'Agenzia per i programmi di sviluppo delle Nazioni Unite.
E che dire del presidente del Sudan, Omar Hassan el Bashir? Per lui il 29 settembre ha parlato all'ONU il suo consigliere, Ghazi Salahuddin, il quale, anche a nome del G77, l'organismo quest'anno presieduto dal Sudan che riunisce 131 Stati per lo più in via di sviluppo, ha dichiarato: «La marginalizzazione dei paesi in via di sviluppo nei processi decisionali ha contribuito alla diffusione ed esasperazione dell'attuale crisi... che rischia di vanificare gli sforzi dispiegati negli ultimi dieci anni per contrastare malattie e povertà; la politica dei due pesi e due misure ha contribuito a rendere il mondo un posto meno sicuro acuendo il divario tra paesi ricchi e poveri». El Bashir non si è presentato a New York per non rischiare di essere arrestato e consegnato alla Corte Penale Internazionale dell'Aia, che nel 2008 ne ha chiesto la cattura, dopo averlo incriminato di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra per le violenze perpetrate in Darfur dal 2003, violenze che si aggiungono a quelle commesse ai danni di milioni di altri sudanesi a partire dal 1989, quando el Bashir ha avviato la sua politica di arabizzazione, accanendosi dapprima con gli abitanti delle regioni meridionali del paese. A questo proposito Salahuddin ha affermato che l'incriminazione della Corte Penale Internazionale non ha giovato «né alla pace né al popolo di una regione che ha lungamente sofferto». Ma se le popolazioni del Darfur hanno «lungamente sofferto», se per i sudanesi in generale il mondo è un posto «meno sicuro» e se, malgrado i giacimenti di petrolio, sopravvivono a stento, lo devono non alla Corte Penale né a un ordine mondiale iniquo e sbilanciato, ma alla spietata mano del loro leader.
Se l'Assemblea Generale esprimesse corale riprovazione ai discorsi dei rappresentanti dei regimi autoritari che imperversano violando le regole democratiche e civili, almeno servirebbe a qualcosa: invece alla fine di ogni intervento, comunque sia, applausi e strette di mano.
64th UN General Assembly. Word to dictators Anna Bono bono@ragionpolitica.it Wednesday, September 30, 2009 When the president of Eritrea, Isaiah Afewerki, accuses the UN of not being able to prevent crises, to secure peace, fight poverty and protect human rights, essentially accusing them of failing to protect humanity from schemes like his. The same goes for many other leaders sneaking up on their fellow citizens, imposing on them by force, robbing them of national wealth and sentencing them to a permanent state of poverty, but every year participating in the work of the General Assembly 's UN speeches by saying peace and justice and virtuous demanding more power, as if the problem of inefficiency of the highest international body depended on everything from their limited influence in decision-making. The international order arises in after the end of World War II "could not guarantee peace and security of the planet," said September 28 at the 64th General Assembly met in recent days at UN Headquarters in New York Minister Foreign Eritrea, Osman Saleh. "This antiquated world order has been hijacked to serve the interests of a few ... Economic structures that have looted wealth and resources to entire peoples and nations have been consolidated, while military and illegal methods of coercion have spilled. " That's why, according to Saleh, "the UN should initiate a process of renewal at least 20 years ago to coincide with the end of the Cold War. The paradox is that, certainly, a contribution to the extension of "illegal methods of coercion and military" gave him his Isaiah Afewerki of Eritrea's dictator, in power since 1993 (the year the country's independence from Ethiopia): he not only has received little to capitalize on the national resources and to use profitably the large international aid pervenutigli regularly, but in 1998 he opened hostilities with Ethiopia for minor disputes on the path of the border that divides the two states, working for two years in a useless war and ruined young people already have to leverage interminable periods, leaving tens of thousands of families in constant trouble. Therefore, and for no other reason, Eritrea occupies the 157th place (out of 177 such states) in the last index of human development, the rankings compiled annually by the Agency for the development programs of the UN. And what of the President of Sudan, Omar Hassan el Bashir? By September 29 he spoke at the UN his adviser, Ghazi Salahuddin, who is also on behalf of the G77, the body chaired by the Sudan this year, which brings together 131 states mostly in the developing world, said: "The marginalization of developing countries in decision-making has contributed to the spread and aggravation of the crisis ... which threatens to undermine the efforts deployed over the past ten years to combat disease and poverty, the policy of the two weights and two measures helped to make the world a less safe place exacerbating the gap between rich and poor. " El Bashir has not been presented in New York or risk being arrested and delivered to the International Criminal Court in The Hague in 2008, has applied for the capture, after having indicted for genocide, crimes against humanity and war crimes for the violence committed in Darfur since 2003, violence in addition to those committed against millions of other Sudanese since 1989, when El Bashir has launched its policy of Arabization, bitter at first with the inhabitants of southern regions of the country. In this regard, Salahuddin said that the International Criminal Court's indictment did not benefit "neither peace nor to the people of a region that has long suffered." But if the people of Darfur have "long been suffering," if the Sudanese in general the world is a place "less safe" and if, despite deposits of oil, barely survive, they must not at the Criminal Court or an order World unfair and unbalanced, but the ruthless hand of their leader. If the General Assembly expressed unanimous disapproval to the speeches of the representatives of the authoritarian regimes that rampant violation of democratic norms and civil rights, would at least something, however at the end of each visit, anyway, cheers and handshakes.
Grazie all giornalista Dr Anna Bono............................................Abdelazim Gomaa

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