Sudan and conflicts zones.

Sudan and conflicts zones.

Tuesday, 6 October 2009

Armi!












L’Iran e le nuove rotte delle armi



Scritto da Guido Olimpio
lunedì 05 ottobre 2009

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WASHINGTON — Gennaio, area a nord di Khartoum, Sudan. In luogo sicu­ro si incontrano ufficiali dei pasdaran iraniani e contrabbandieri. Discutono sull’invio di armi verso la striscia di Ga­za, materiale destinato ai palestinesi di Hamas. Il vertice — secondo quanto ri­velato da fonti di intelligence al Corrie­re — si trasforma in uno scontro: quat­tro iraniani vengono assassinati in mo­do brutale per una questione di soldi.
In quegli stessi giorni caccia e velivoli senza pilota «sconosciuti» distruggono un convoglio di 28 camion nell’area di Port Sudan. Poi tocca ad un mercantile sospettato di trasportare munizioni e lanciagranate. Si scoprirà, dopo alcune settimane, che i raid sono stati condotti dall’aviazione israeliana.La duplice azione era mirata ad inter­rompere il «corridoio delle armi» in fa­vore dei militanti palestinesi. Una pipe­line alimentata dagli iraniani, decisi a sostenere Hamas ma anche ad allargare la loro influenza nel Continente nero. Come ha affermato il ministro degli Esteri di Teheran, Mottaki, il 2009 è una «pietra miliare» nei rapporti Iran-Africa. È quello che gli esperti chia­mano il safari dei mullah. Un’iniziativa di ampio respiro contrastata da egizia­ni, americani e israeliani. Una partita giocata con agenti segreti, diplomatici, apparati militari e traffici.Sull’agenda degli ayatollah, scritta dal dinamico presidente Ahmadinejad, ci sono cinque punti fermi, da consegui­re: 1) Accrescere il peso politico nel «continente più ricco del mondo»; 2) sviluppare rapporti economici; 3) esportare il credo rivoluzionario nelle comunità islamiche d’Africa con l’aiuto dell’Hezbollah libanese; 4) stabilire una presenza militare dove sia possibile; 5) mantenere ed estendere una rotta ma­rittima e terrestre che permetta all’Iran di trasferire armi verso nord e Gaza.Gli iraniani si sono mossi su due livel­li. Il primo trasparente: una serie di visi­te nel periodo 2008-2009 in paesi come il Kenya, Gibuti, Tanzania, Eritrea, Su­dan per firmare accordi bilaterali d’ogni tipo e mettere radici. Rilevante sotto questo profilo l’intesa con gli eritrei. La marina iraniana avrebbe ottenuto un ap­prodo sicuro nel porto di Assab, in Mar Rosso. E forse, aggiungono oppositori interni, anche l’autorizzazione a schiera­re un piccolo contingente di guardiani della rivoluzione. Con il pretesto di con­trastare la pirateria, Teheran ha inviato nella regione da 2 a 6 navi che, da un lato, hanno dato la caccia ai corsari, dal­­l’altra hanno creato uno scudo per i mer­cantili dei traffici. Una missione nella quale sono coinvolti nuclei di pasdaran che conducono operazioni di spionag­gio marittimo. Tengono d’occhio la flot­ta occidentale, eseguono attività di intel­ligence elettronico, aprono la rotta ai cargo pieni di armi.Il secondo livello della manovra è quello clandestino ed ha come piattafor­ma strategica il Sudan, dove sono arri­vati pasdaran del cosiddetto «Africa Corp» a presidio della «stazione» princi­pale nel traffico in favore di Hamas. Il materiale parte in nave dall’Iran, prose­gue verso l’Eritrea – ecco la ragione del corteggiamento politico - , quindi risale in direzione del territorio sudanese, con Port Sudan come snodo. Da qui pro­seguono verso il Sinai affidati ai clan be­duini che ne assicurano poi il passag­gio finale a Gaza attraverso i tunnel. Fonti dell’opposizione iraniana hanno rivelato che Teheran avrebbe anche rea­lizzato una fabbrica ad hoc per produr­re una versione speciale del missile Fajr 3, smontabile per essere contrabbanda­to con maggiore facilità.La filiera ha messo in allarme anche gli egiziani. Il Mukhabarat, l’attento ser­vizio segreto, ha iniziato a indagare con insistenza perché preoccupato di possi­bili contraccolpi interni. Ed ha scoperto due focolai pericolosi. Grazie ai contatti con i contrabbandieri, militanti islami­sti locali hanno ottenuto consigli tecni­ci dai gruppi di Gaza. Alcuni jihadisti egiziani, infatti, sono entrati – sempre attraverso i tunnel – nel territorio pale­stinese, quindi hanno fatto ritorno in Egitto. Non meno pericoloso il network creato dagli Hezbollah filo-ira­niani in collaborazione con l’Armata Qods, l’apparato per le operazioni riser­vate dei pasdaran. Uno di loro giunto al Cairo, nel 2006, con falsi documenti ira­cheni ha stabilito legami con abitanti del Sinai così come con i trafficanti. Do­po una serie di arresti gli 007 hanno ac­certato che, inizialmente, la cellula ave­va pensato di colpire obiettivi israelia­ni. Tra i bersagli considerati i turisti o le navi che risalgono Suez. Poi, i suoi supe­riori gli hanno ordinato di preparare ka­mikaze palestinesi destinati a missioni in Israele.Lo schema ha attirato l’attenzione dell’intelligence statunitense. Washin­gton, che ha il suo Comando Africa, te­me che il binomio Hezbollah-Iran pos­sa infiltrarsi in altri stati africani. In par­ticolare in quelli della zona occidentale dove vivono da decenni ricche comuni­tà sciite. Presenza assolutamente legitti­ma ma dietro la quale si nascondono, a volte, personaggi a rischio. Un sommer­so spesso in contatto con commercian­ti di pietre preziose d’origine libanese. Alcuni di loro collaborano con l’Hezbol­lah e versano una quota dei guadagni in favore del movimento.Accanto agli americani e, in concor­renza, si muovono gli israeliani. Prima degli iraniani hanno costruito rapporti con molti governi africani fornendo lo­ro assistenza per l’agricoltura e, natural­mente, aiuti militari. Una politica di ri­guardo sottolineata da un recente viag­gio nel Continente del ministro degli Esteri Avigdor Lieberman che ha visita­to Etiopia, Kenya, Uganda, Nigeria e Ghana. Missione alla quale è stato dato un grande risalto dalla stampa di Geru­salemme che l’ha contrapposta aperta­mente all’attivismo iraniano. Così co­me il passaggio in Mar Rosso di sotto­marini israeliani, impegnati in esercita­zioni che gli esperti hanno legato ad un possibile attacco contro l’Iran. Nessuna pubblicità invece alle forniture di armi per l’esercito del Sud Sudan, tenace av­versario di Khartoum. C’è l’embargo Onu in vigore, ma viene spesso violato con grandi guadagni per chi riesce a piazzare fucili e tank.
da:corriere.it

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