Usa chiedono di far entrare la missione di pace Ua-Onu nella regione di Jebel Marra, sconvolta da nuovi scontri tra governo e ribelli
Darfur: la falsa preoccupazione degli Stati Uniti
di: Francesca Dessì
Con disarmante ipocrisia, gli Stati Uniti si sono detti “estremamente preoccupati” per i combattimenti tre le forze governative sudanesi e i ribelli dell’Esercito di liberazione del Sudan nelle regione di Jebel Marra, in Darfur.
Il compito ingrato di esprimere una certa “apprensione” per quanto sta accadendo nelle regione ricca di petrolio, tanto cara a Washington, è toccato al portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley.
La presunta offensiva governativa contro i ribelli della Sla “ha provocato importanti perdite di civili, spostamenti di popolazione e sgomberi di organizzazioni umanitarie”, per questo “gli Stati Uniti sollecitano il governo sudanese e l’Esercito di liberazione del Sudan ad astenersi da nuove violenze e a permettere alla missione congiunta Unione Africana-Nazioni Unite in Darfur di accedere a Jebel Marra per valutare la situazione umanitaria e ripristinare la stabilità”. Una richiesta alquanto bizzarra: basterebbe infatti che gli Stati Uniti smettessero di finanziare i guerriglieri della Sla per mettere fine ad un conflitto che si accende e si spegne a seconda di come fa più comodo agli Usa.
Secondo le stime dell’Onu, il numero delle vittime si aggirerebbero intorno alle 140 e 400 persone, ma un portavoce delle forze regolari di Khartoum ha smentito che in questi giorni siano avvenuti scontri tra i soldati governativi e i ribelli. Il bilancio dei morti – non a caso – è stato dato dalla guerriglia, in quanto l’Onu e le agenzie umanitarie non possono accedere alla zona colpita.
Quello che è certo è che una simile azione è controproducente per il presidente Omar al Bashir che, con un mandato di cattura sulla testa - emesso dalla Corte penale internazionale dell'Aja, per crimini di guerra e contro l’umanità commessi proprio in Darfur - deve riabilitare la propria immagine in vista soprattutto delle elezioni presidenziali previste il prossimo aprile.
Dopo infatti i passi in avanti compiuti dal governo di Khartoum e il Movimento per la giustizia ed eguaglianza, che nei giorni scorsi hanno firmato un importante patto, sembrerebbe alquanto strano che il presidente sudanese abbia deciso di sferrare un attacco contro gli altri ribelli, mettendo in serio pericolo gli accordi di Doha che prevedono la firma definitiva entro il 15 marzo.
Al Bashir, in giro in questi giorni nelle regioni meridionali del Paese per la sua campagna elettorale, ha promesso ieri di lavorare per portare la pace nel Sud Sudan, garantendo in caso di rielezione numerosi progetti per lo sviluppo delle regioni meridionali e migliori strutture sanitarie e scolastiche. Ma come ha più volte detto il presidente sudanese l’Occidente vuole “ mettere le mani” sulle risorse del suo Paese in forma “neocolonialista”- riferendosi in particolar modo all’interesse che Washington ha per il petrolio sudanese - e farebbe di tutto per far fallire l’accordo di pace appena stilato e, soprattutto, le elezioni presidenziali. Togliersi dai piedi al Bashir significare avere accesso ai giacimenti petroliferi che per ora sono esclusiva della Cina.
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