Sudan and conflicts zones.

Sudan and conflicts zones.

Friday, 15 October 2010

News in Italia for Darfur










14 october 2010 15:37


Terminal rifugiati
Vengono da paesi in guerra come l'Afghanistan, da regimi dittatoriali come il Sudan. Sono circa 47000 i rifugiati in Italia, nel solo 2009 sono state 17200 le persone che hanno presentato domanda di asilo e oltre la metà ha ottenuto il permesso di soggiorno. Una gran parte di loro si ritrova poi a dormire nelle stazioni, a mangiare alla mensa dei poveri e cercando un lavoro difficilissimo da trovare per chi a malapena conosce la lingua italiana.

di Ludovica Jona

Sudan-Ciad: un gesto di pace firmato Emergency


Il Sudan finanzierà una struttura ospedaliera, che verrà costruita dalla Ong italiana, nel territorio dell'ex nemico
Il Sudan finanzierà la costruzione di un ospedale d'eccellenza in Ciad, Emergency si occuperà della sua costruzione, dell'equipaggiamento e della sua gestione. L'annuncio del Consigliere del presidente del Sudan Ahmed Bilal Osman è avvenuto durante la giornata conclusiva del seminario internazionale "Costruire medicina in Africa. Strategia di realizzazione della Rete sanitaria d'eccellenza" organizzato da Emergency in collaborazione con il Comune di Venezia. Sudan e Ciad, paesi che sono stati in conflitto tra loro, hanno trovato una ragione di collaborazione in un progetto sanitario che vuole garantire accesso a cure gratuite e di alta qualità anche agli abitanti dell'Africa.
Il gesto di pace ha riavvicinato due Paesi in guerra tra loro fino a pochi anni fa. Un altro ospedale verrà donato al Sudan del Sud, nonostante i timori circa lo scoppio di un nuovo conflitto tra le due parti siano piuttosto fondati. Una strada percorribile che ha suscitato l'interesse dell'Organizzazione mondiale della Sanità, che ieri ha inviato due rappresentanti per seguire i lavori.
A piccoli passi si può arrivare lontano. Forse, è questo il concetto che rende meglio il senso del workshop (il terzo sul tema) organizzato ieri da Emergency sull'isola di San Servolo. Qui, l'ong italiana ha incontrato delegazioni dei ministeri della Sanità dei Paesi africani con cui sta lavorando ad un progetto tanto ambizioso quanto innovativo, l'Anme (l'African Network of Medical Excellence), una rete integrata di centri ospedalieri d'eccellenza, pensata nel 2008 con l'adesione di sette stati (oggi sono 11).
Il gioiello di Khartoum. Faceva una strana impressione vedere seduti l'uno accanto all'altro rappresentanti di Paesi da tempo ai ferri corti come Eritrea, Etiopia e Somalia, che fino a ieri erano nemici quali Ciad e Sudan, che sono ad un passo da una separazione (non si sa quanto consensuale) come Sudan e Sudan del Sud, riuniti per discutere di una sanità di prim'ordine, efficiente, gratuita e senza confini, che non chieda il passaporto ai pazienti.
Ciò che si è realizzato con il Salam Centre - al centro degli interventi del primo modulo della giornata - , nato a Khartoum nel 2007 dalla collaborazione di Emergency col governo sudanese. Un ospedale che all'inizio sembrava "un piccolo e folle sogno", secondo la definizione del consigliere del presidente Omar al-Bashir, Ahmed Bilal, che nel 2003, da ministro della Sanità, diede un contributo fondamentale alla sua realizzazione. Ieri c'era anche lui, a festeggiare il terzo anno di attività di una struttura all'avanguardia nel campo della cardiochirurgia, con macchinari sofisticati e personale specializzato. Non un avamposto di medici che lavorano come possono e con quel che hanno, né una brutta copia di quella che è l'eccellenza occidentale. I numeri del centro, uno dei migliori al mondo, parlano da soli: sei operazioni al giorno, 3224 persone ricoverate, 2700 interventi, una mortalità del tre per cento.
Un ospedale - l'unico in un'area in cui vivono 300 milioni di persone - che il Sudan ha voluto da subito aperto ai malati dei nove Paesi confinanti e il cui bacino di utenza si è allargato enormemente, tanto che alla fine vi sono arrivati pazienti da Sierra Leone, Iraq, Giordania e Zimbabwe.
Quando diplomazia fa rima con sanità. Ma in realtà, il senso di una struttura come il Salam va al di là dell'intervento di emergenza. Proprio sul suo ruolo di centro di formazione per medici, infermieri e tecnici hanno insistito quasi tutti i delegati. Molto netto il ministro della Sanità di Gibuti, Abdallah Abdillahi Miguil: "Non dateci soldi, fate venire i nostri medici lì ad imparare, a perfezionarsi". Stessa richiesta espressa dal suo omologo del Sudan del Sud, Luka Manoja, che ha raccontato come il suo governo non possa pensionare le infermiere, quasi tutte settantenni, perché non c'è ricambio. Ma c'è dell'altro; la disponibilità ad accettare pazienti da altri Paesi della regione ha costretto poi i rispettivi governi a confrontarsi su questioni concrete come i visti, l'approvvigionamento di medicine per la terapia postoperatoria, lo standard nella formazione medica, aprendo canali di contatto importanti, all'insegna di quella che il consigliere presidenziale sudanese Mohamed el Atom ha definito "diplomazia sanitaria".
L'alternativa possibile. Se questo è il valore di una singola realtà come il Salam Centre, si capisce quale potrebbe essere l'impatto di una rete come quella di Anme. Un progetto realizzabile, purché ci sia volontà politica e soprattutto uno sforzo economico. Servono 200 milioni di dollari circa, una cifra irraggiungibile per una piccola ong italiana ma non per un governo.
Alla politica spetterà l'adozione di iniziative concrete e la loro implementazione. Non sarà facile, si dovrà discutere. Già ieri sono emerse evidenti differenze tra l'approccio deciso del Sudan, che ha proposto la creazione di un'istituzione permanente dotata di poteri reali per la gestione del progetto e la cautela di Gibuti, il cui ministro della Sanità ha fatto notare come l'assenza di alcune delegazioni o il basso profilo di altre evidenzino una poco incoraggiante mancanza di interesse. Un'intesa andrà trovata anche sulla partecipazione finanziaria dei beneficiari, visto che sempre Gibuti ha mostrato perplessità sulla proposta avanzata dal rappresentante della Repubblica Centrafricana, Jean Pierre Waboe, di lasciare ai Paesi africani la copertura del 20 per cento della spesa.
Ma la mediazione si troverà, perché questo non è un gioco a somma zero. E'invece un tentativo di ridisegnare l'idea di servizio sanitario, qualcosa che non serve solo all'Africa ma anche all'Occidente. Lo ha fatto notare la presidente di Emergency Cecilia Strada, chiudendo il workshop. "Quanti milioni di americani non coperti dall'assicurazione sanitaria devono scegliere tra curarsi e far studiare i figli? Quanti italiani per una Tac in tempi ragionevoli devono rivolgersi ad una struttura privata, pagando?" Ecco, l'esperienza del Salam Centre racconta di un'alternativa possibile. Questo è il presente, l'Anme è il futuro. In mezzo, molta strada da fare ma, a piccoli passi, si può.

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