4/6/2009 (7:28) - INTERVISTA
Kaki Abubaker: "Quando vinco il Sudan smette di sparare"
Il giovane prodigio: «Non solo Darfur,io sono il simbolo dell'integrazione»
GIULIA ZONCA
TORINO Da piccolo faceva il portiere e tra i pali si divertiva un sacco «solo che non era il mio destino» e se un ragazzo di 19 anni parla di destino significa che ha le idee chiare su cosa vuole dalla vita e infatti risponde con un sorriso tutto denti: «Fare la storia». Abubaker Kaki l’avrebbe anche già fatta, è sudanese, i suoi genitori vengono da Al Mougalid, un villaggio che sta proprio a metà strada tra Khartoum e il Darfur, tra il governo e il massacro. Quando l’anno scorso ha vinto gli 800 metri al Mondiale indoor, il più giovane di sempre a riuscirci, la milizia ha smesso di sparare. Festeggiavano il bambino prodigio che sventola la bandiera del Sudan e per un attimo si sono scordati di avere un fucile in mano. Lui lo sa «e ne sono orgoglioso, ma la storia a cui pensavo io è più piccola. Vorrei lasciare un segno, un record. Vorrei durare abbastanza da farmi ricordare». Stasera è a Torino per il Memorial Nebiolo, ha già corso gli 800 m. più veloci dell’anno, in maggio, a Doha (1’43”10) e vuole abbassare il tempo perché ogni gara lo allontana un po’ dalle Olimpiadi. Un brutto ricordo: è arrivato favorito e ha mancato addirittura la finale. Che è successo a Pechino? «Troppo giovane per avere tutti quegli occhi addosso. Non riuscivo a mangiare, non riuscivo a recuperare, c’era troppa gente e troppo rumore. Quando ti dicono sei inesperto, tu non ascolti perché sai di essere forte. Ho scoperto che essere forte non basta». Cosa ha imparato? «A gestire l’emozione, ma quello che mi ha stupito è che al ritorno a casa ero ancora l’eroe. Ho perso però sono rimasto un idolo. Io mi alleno a Khartoum in uno stadio che non è il massimo e non ho nessuna voglia di muovermi di lì perché ogni giorno ci sono mille persone che vengono a vedere me». Alle Olimpiadi lei è stato un simbolo di integrazione. «La nostra squadra aveva atleti di diverse etnie, mai un problema o una discussione. Quello è il Sudan e se può essere così in un ritiro non vedo perché non possa esserlo sempre». Non parlate mai di politica tra voi, paura del confronto? «I ragazzi italiani di 19 anni parlano di politica? Neanche noi. So che è difficile sentirlo dire visto che continuano a morire persone, ma in Sudan le cose stanno migliorando, non la pensano più come prima. Sono preoccupati della loro immagine e la questione Darfur è meno drammatica in questo ultimo anno. Il giorno in cui sono tornato all’aeroporto con l’oro dei Mondiali indoor il paese era unito. È una piccola cosa, ma vedere la foto di un Paese unito aiuta». L’America, agli ultimi Giochi, ha scelto un portabandiera di origine sudanese, Lopez Lomong. Che effetto le ha fatto? «È americano e portava la bandiera Usa. Sono contento per lui anche se non l’ho visto come un messaggio al mio Paese, piuttosto come una loro scelta: volevano farsi rappresentare da un immigrato». Cosa si aspetta dai Mondiali di quest’estate? «Voglio vincere e più ancora voglio essere me stesso. Il rammarico di Pechino non è aver perso ma non aver dato quanto potevo». Chi l’ha aiutata? «Le mie sorelle, ne ho sette. Dopo ogni gara le sento tutte, è un rito di famiglia. Alle Olimpiadi sono state una carica di energia e mi hanno subito tolto l’ansia». Dice di voler lasciare un record, quello degli 800 m. è datato 1997: Wilson Kipketer 1’41”11. Battibile? «Posso farcela. A me non piace la tattica, parto sempre sparato e anche se c’è il rischio di scoppiare mi va bene così. Nella vita sono la persona più semplice del mondo, sulla pista no. Voglio fare a modo mio, sono un po’ il LeBron James degli 800 metri».
Io credo che lui ha raggione ma quelli che sono stati trucidati del Jenjaweed devono essere resarciti e le casa sequestrati insoma KAKI questi cose dobbiamo ametterli............................Abdelazim Abdella Gomaa socio Arci Darfur Milano
Kaki Abubaker: "Quando vinco il Sudan smette di sparare"
Il giovane prodigio: «Non solo Darfur,io sono il simbolo dell'integrazione»
GIULIA ZONCA
TORINO Da piccolo faceva il portiere e tra i pali si divertiva un sacco «solo che non era il mio destino» e se un ragazzo di 19 anni parla di destino significa che ha le idee chiare su cosa vuole dalla vita e infatti risponde con un sorriso tutto denti: «Fare la storia». Abubaker Kaki l’avrebbe anche già fatta, è sudanese, i suoi genitori vengono da Al Mougalid, un villaggio che sta proprio a metà strada tra Khartoum e il Darfur, tra il governo e il massacro. Quando l’anno scorso ha vinto gli 800 metri al Mondiale indoor, il più giovane di sempre a riuscirci, la milizia ha smesso di sparare. Festeggiavano il bambino prodigio che sventola la bandiera del Sudan e per un attimo si sono scordati di avere un fucile in mano. Lui lo sa «e ne sono orgoglioso, ma la storia a cui pensavo io è più piccola. Vorrei lasciare un segno, un record. Vorrei durare abbastanza da farmi ricordare». Stasera è a Torino per il Memorial Nebiolo, ha già corso gli 800 m. più veloci dell’anno, in maggio, a Doha (1’43”10) e vuole abbassare il tempo perché ogni gara lo allontana un po’ dalle Olimpiadi. Un brutto ricordo: è arrivato favorito e ha mancato addirittura la finale. Che è successo a Pechino? «Troppo giovane per avere tutti quegli occhi addosso. Non riuscivo a mangiare, non riuscivo a recuperare, c’era troppa gente e troppo rumore. Quando ti dicono sei inesperto, tu non ascolti perché sai di essere forte. Ho scoperto che essere forte non basta». Cosa ha imparato? «A gestire l’emozione, ma quello che mi ha stupito è che al ritorno a casa ero ancora l’eroe. Ho perso però sono rimasto un idolo. Io mi alleno a Khartoum in uno stadio che non è il massimo e non ho nessuna voglia di muovermi di lì perché ogni giorno ci sono mille persone che vengono a vedere me». Alle Olimpiadi lei è stato un simbolo di integrazione. «La nostra squadra aveva atleti di diverse etnie, mai un problema o una discussione. Quello è il Sudan e se può essere così in un ritiro non vedo perché non possa esserlo sempre». Non parlate mai di politica tra voi, paura del confronto? «I ragazzi italiani di 19 anni parlano di politica? Neanche noi. So che è difficile sentirlo dire visto che continuano a morire persone, ma in Sudan le cose stanno migliorando, non la pensano più come prima. Sono preoccupati della loro immagine e la questione Darfur è meno drammatica in questo ultimo anno. Il giorno in cui sono tornato all’aeroporto con l’oro dei Mondiali indoor il paese era unito. È una piccola cosa, ma vedere la foto di un Paese unito aiuta». L’America, agli ultimi Giochi, ha scelto un portabandiera di origine sudanese, Lopez Lomong. Che effetto le ha fatto? «È americano e portava la bandiera Usa. Sono contento per lui anche se non l’ho visto come un messaggio al mio Paese, piuttosto come una loro scelta: volevano farsi rappresentare da un immigrato». Cosa si aspetta dai Mondiali di quest’estate? «Voglio vincere e più ancora voglio essere me stesso. Il rammarico di Pechino non è aver perso ma non aver dato quanto potevo». Chi l’ha aiutata? «Le mie sorelle, ne ho sette. Dopo ogni gara le sento tutte, è un rito di famiglia. Alle Olimpiadi sono state una carica di energia e mi hanno subito tolto l’ansia». Dice di voler lasciare un record, quello degli 800 m. è datato 1997: Wilson Kipketer 1’41”11. Battibile? «Posso farcela. A me non piace la tattica, parto sempre sparato e anche se c’è il rischio di scoppiare mi va bene così. Nella vita sono la persona più semplice del mondo, sulla pista no. Voglio fare a modo mio, sono un po’ il LeBron James degli 800 metri».
Io credo che lui ha raggione ma quelli che sono stati trucidati del Jenjaweed devono essere resarciti e le casa sequestrati insoma KAKI questi cose dobbiamo ametterli............................Abdelazim Abdella Gomaa socio Arci Darfur Milano
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